Descrizione
Escursione
Si parte
da Sessa Aurunca Cittadina della Campania settentrionale, situata nella
parte settentrionale della provincia di Caserta, non lontano dal confine
con il Lazio, lungo le pendici meridionali dell'antico vulcano di Roccamonfina.
La sua origine è antichissima, giacché la prima fondazione dell'abitato
si deve agli aurunci, che lo chiamarono Suessa. Significativi sono i resti
della città romana, soprattutto le mura, attualmente per gran parte compresi
tra moderni edifici. Anche nella costruzione del romanico Duomo, principale
monumento della città, consistente fu l'utilizzo di materiale di spoglio
romano. Benché in parte rifatta nel Settecento, la chiesa conserva elementi
di grande interesse della primitiva costruzione, quali il pavimento a
mosaico del XII secolo e il pergamo del XIII secolo. Nei dintorni si segnalano
il ponte degli Aurunci, imponente struttura romana in laterizi nei pressi
della via Appia, e la località balneare di Baia Domizia. Abitanti (sessani):
23.394 (1996).
ore 9.00
Largo porta Cappuccini si raggiunge Roccamonfina per poi inserirsi sulla
strada provinciale per Galluccio (incrocio poco dopo il ristorante il
Castagneto. Il nostro itinerario inizia dal borgo murato di Sipicciano
posto sul versante nord ovest del vulcano di Roccamonfina.
Il vulcano:
Situato nella Campania settentrionale e simile al Vesuvio per morfologia,
questo vulcano è però inattivo da oltre 30 mila anni. Perciò le sue fertili
pendici sono ricoperte da una rigogliosa vegetazione arborea e densamente
popolate. La storia e le caratteristiche geologiche della montagna sono
raccontate nel seguente brano della Guida Rossa Campania edita dal Touring
Club Italiano.
La Montagna
di Roccamonfina, con una superficie di circa 225 km² e un'altezza
modesta (culmina col Monte Santa Croce 1005 metri), ma notevole per la
forma conica e la natura vulcanica, si erge tra i Monti Aurunci e la media
valle del Garigliano a ovest, la piana del Garigliano a sud-ovest, il
Monte Mássico a sud, la piana del Volturno a sud-est, la catena del Monte
Maggiore a est e il Monte Césima, ultima pendice delle Mainarde, a nord.
Il vulcano
nell'insieme conserva abbastanza la forma conica, ma ha i fianchi poco
inclinati: perciò il profilo, osservato dalla pianura e dai monti all'intorno,
non spicca in maniera caratteristica. È questa forse la ragione del riconoscimento
piuttosto recente dell'origine vulcanica della montagna, avvenuto nel
1795 per opera di Nicola Pilla Seniore. In seguito il vulcano fu oggetto
di studi da parte di Guglielmo Giovanni Hamilton, Scipione Breislak, Nicola
Covelli, Leopoldo Pilla e Gasparini (1836-37), Lorenzo Bucca (1886), P.
Moderni (1887). Nel secolo scorso gli studi furono ripresi da U. Panichi
(1924) e H. Seifert (1941). Negli ultimi vent'anni le ricerche si sono
intensificate, particolarmente con misure dell'età assoluta dei prodotti
vulcanici ed osservazioni sulla loro evoluzione, nonché sulla genesi e
i caratteri chimici o petrografici delle singole formazioni.
L'apparato vulcanico di Roccamonfina somiglia notevolmente al Vesuvio
per diversi caratteri comuni: costituzione, isolamento (un grande cono
con una larga base di 25 chilometri di circonferenza), grandezza e altitudine,
come pure per morfologia, essendo pur esso formato da un tronco di cono
tendente a diventare più ripido in alto, il quale termina con una cinta
craterica più antica di quasi 6 chilometri di diametro. All'interno di
essa emerge il doppio domo latitico del Monte Santa Croce, 1006 metri,
e del Monte Láttani, 810 metri, separato dalla cerchia più antica (meglio
conservata a occidente, dove raggiunge 926 metri nel Monte Frascara) per
mezzo d'un solco anulare, solo in parte colmato dal materiale eruttato.
Ma mentre il Vesuvio è stato scosso da parecchie eruzioni e le sue lave
sono ancora fresche, il Roccamonfina è spento almeno dall'antichità (sebbene
di tanto in tanto sia scosso da movimenti sismici e da esso abbiano origine
alcune sorgenti termali) e, pur essendo solcato da una serie di burroni
radiali, si copre di bellissimi castagneti. La forma conica della montagna
è alterata da crateri laterali specie sul versante di Teano, non molto
numerosi, ma di notevole altezza.
Il Roccamonfina
si è inserito tardivamente tra il Monte Maggiore, le Mainarde e gli Aurunci
e, avendo sbarrato il corso del Liri e del Volturno, la sua formazione
ha dato origine a un grande lago di sbarramento, che si estendeva nell'attuale
piana di Cassino. Gli inizi dell'attività del vulcano, secondo le più
recenti indagini geologiche e geofisiche, sono assegnabili ad un periodo
di tempo compreso tra 1 milione e 1 milione e 300 mila anni or sono, cioè
al periodo cosiddetto Villafranchiano caldo (Quaternario antico); tuttavia,
i risultati di perforazioni profonde hanno rivelato la presenza di materiali
vulcanici a poco meno di 2000 metri nel sottosuolo, ricoperti da argille
e sabbie di età pliocenica. L'attività del Roccamonfina si concluse praticamente
in corrispondenza dell'emissione dei materiali che originarono il tufo
grigio (ignimbrite trachi-fonolitica) al pari degli altri centri eruttivi
campani, e cioè circa 30-50 mila anni fa. La composizione litologica dei
prodotti lavici e piroclastici del vulcano ha subito, nel tempo, una progressiva
evoluzione, legata soprattutto a fenomeni di assimilazione dei materiali
sedimentari, del substrato. Strutturalmente il Roccamonfina rappresenta
un tipico esempio di stratovulcano successivamente modificatosi per crollo
dell'area craterica sulla quale si impostarono dei domi (cioè delle cupole
di lava) corrispondenti agli attuali rilievi di sommità (Monte Santa Croce
e Monte Láttani). Nel corso di una prima fase di attività furono eruttate
lave di tipo leucitico (tefriti, fonoliti, basaniti leucitiche e leucititi)
e limitato lancio di prodotti piroclastici. Alla fine di questa attività,
la zona centrale dell'edificio vulcanico, che doveva sicuramente raggiungere
i 3000 metri di altezza a giudicare dall'inclinazione degli strati, subì
uno sprofondamento vulcano-tettonico cioè un grandioso crollo che portò
alla formazione di una caldera, ovvero di un recinto craterico di oltre
6 chilometri di diametro. All'interno di questa caldera, nel corso della
seconda fase di attività, che si esplicò in tempi relativamente recenti,
cioè non più di 100 mila anni fa, si formarono i già citati domi del Monte
Santa Croce e del Monte Láttani mentre i materiali eruttati risultarono
composti prevalentemente da latiti, trachibasalti e basalti olivinici,
rocce cioè prive di leucite. Nell'intervallo tra le due fasi di attività,
continuò, con caratteri di intermittenza, il lancio di materiali piroclastici
(ceneri, scorie, lapilli). La montagna si distingue da quelle circostanti
per la ricchezza della vegetazione arborea, favorita dall'abbondanza dei
sali potassici contenuti nelle rocce leucitiche. Predominano i castagni,
che rivestono tutta la parte superiore del monte e si spingono in molti
punti anche a bassa quota; rigogliosi sono pure gli ulivi e le viti. Per
la fertilità dei terreni la zona è densamente popolata; è anche ricca
di acque minerali, che sgorgano ai piedi della montagna: tra le più note
citiamo quelle di Suio, di Sessa Aurunca, di Francolise e di Teano.
Questo borgo
murato sorge a qualche chilometro da Galluccio suo capoluogo.E' un borgo
con le sue case disposte a grappolo e a balconate sulla piana del Garigliano
e del golfo di Gaeta.Nelle giornate limpide il panorama e a mozzafiato
fino alle isole Pontine.Il territorio fu abitato fin dalla Preistoria,
grazie anche alle numerosi sorgenti e al terreno fertile.La zona era abitata
da un popolo italico : Gli Ausoni - Aurunci
Una
delle più antiche popolazioni dell'Italia preromana, sovente confusi od
omologati con gli osci od opici. Il termine aurunci (o ausonii, come sono
altrimenti chiamati) sembra talora indicare genericamente gli abitanti
preistorici della zona tra il Lazio e la Campania, come pure di restanti
parti dell'Italia meridionale; Tito Livio, però, colloca puntualmente
la loro terra tra i fiumi Liri e Volturno.
Furono sostituiti
nell'età del ferro da un popolo vicino: I Sidicini facenti parte
della stirpe Sannita.
Antico
popolo italico di origine composita, che viveva sugli altipiani del Sannio,
nell'Appennino meridionale, e comprendeva caraceni, pentri, caudini e
irpini. Per il controllo del territorio campano combatterono contro Roma
le cosiddette guerre sannitiche, che durarono dal 343 al 290 a.C. La prima,
piuttosto breve (343-341 a.C.), si risolse a favore dei romani. La seconda,
che si protrasse dal 326 ca. al 304 a.C., vide la sconfitta dei romani
alle Forche Caudine (321 a.C.). Nel 304 a.C., tuttavia, i sanniti dovettero
riconoscere la supremazia di Roma, che vinse infine la terza guerra (298-290
a.C.). I sanniti combatterono poi a fianco di Annibale durante la seconda
guerra punica (218-201 a.C.) e si ribellarono nella guerra sociale del
90 a.C., per poi allearsi con Caio Mario. Sconfitti infine dal generale
romano Silla (82 a.C.), furono romanizzati o venduti come schiavi.
I primi
insediamenti nell'area vulcanica risalgono al VI° secolo a.C. e sono
attribuiti al popolo degli Ausoni o Aurunci, e gli unici resti di tale
popolo sono rinvenibili nelle mura megalitiche site sul Monte La Frascara
e sul Monte Santa Croce. Tali costruzioni, dovevano probabilmente servire
al popolo degli Ausoni come osservatorio militare data la loro posizione
strategica sul territorio. Tuttavia non furono utili, quando, come narra
Tito Livio nella sua opera "storia di Roma", nel 337 a.C. gli Ausoni o
Aurunci, sconfitti dai Sidicini dovettero rifugiarsi nella vicina città
di Suessa, da allora denominata Suessa Aurunca. Gli Aurunci cercarono
inutilmente di fermare l'avanzata dei Romani in Campania.
Quest'ultimi nella successiva pianificazione del territorio attraverso
la razionalizzazione della viabilità e la centuriazione, sconvolsero l'ager
e sorsero ville rustiche di medie dimensioni con lo scopo anche di controllare
il traffico commerciale e il territorio.Avanzi di un terrazzamento in
opera poligonale di una villa rustica del II secolo a. C. sono stati utilizzati
come basamento della chiesa di S. Bartolomeo(caratterizzata dal Campanile
fasciato di verde lucente dell'edera). Presso l'edificio di culto si conserva
un pressario di età Romana, che da pendant a un altro, murato nel prospetto
di una abitazione nello slargo di via Marconi.
L'origine Romana del luogo sembra essere documentata dallo stesso toponimo
nel 1308 in una menziona di un ecclesia S. Maria de Sipizano. Nel feudo
dei Galluccio, così denominato per essere in possesso della famiglia nobile
dei Galluccio (XII).Nel 1480 sotto Ferrante d'Aragona il feudo venne affidato
a Fieramosca, poi successivamente ai Velluti. Sotto Carlo di Borbomne
nel 1734 ci fu un enorme aumentoi della popolazione con relativo sviluppo
econo,mico, rispetto alle altre zone del Regno. Sipicciano ebbe con altre
contrade di Gallucccio un suo ulteriore sviluppo urbano intorno alle chiese
di S. Marie e di S. Bartolomeo.
Tra la fine del 1700 e la metà del 1800 Sipèicciano fu attraversata da
ideologia liberali unitarie tramite gli Scamiciati.Dopo il 1861 fu interessata
dal brigantaggio post unitario. Infatti il bosco di Vallemnarina era il
covo dei briganti Tommasino, Pace, guerra e Fuoco. Brigantaggio Il fenomeno
del brigantaggio meridionale prese avvio dalla reazione dei contadini
e dei ceti meno abbienti alla perdita dei limitati vantaggi economici
garantiti dal sistema feudale borbonico (fra cui l'usufrutto del pascolo
comune); il brigantaggio si sviluppò inoltre dalla ribellione all'introduzione
degli oneri fiscali e della leva obbligatoria da parte dello stato italiano.
A questo diffuso malcontento si unì la propaganda borbonica, promossa
dall'ex sovrano Francesco II, sostenuto dal clero e dal legittimismo internazionale.
.Difficile fu il periodo durante la seconda guerra mondiale a causa della
linea Gustav presente nella zona di Cassino.
L'abitato nonostante le trasformazioni naturali e umane conserva ancora
la sua caratteristica di borgo murato. Mentre attraversiamo il piccolo
centro storico, osserviamo la realizzazione di rampe esterne, disimpegni
. tutte in pietre vulcaniche. Le Testimonianze rinascimentali come la
finestra in via Montagna ci accompagnano lungo il percorso. La finestra
la cui ornia è decorata da cornici rettangolari entro cui sono poste delle
rosette con quattro petali con un bottone centrale .Tutt'intorno palazzi
della nobiltà rurale rimaneggiati in tempi diversi, hanno loggiati coperti,
balconi , androni e portali di discreto gusto compositivo.Imponente per
la sua Grande mole il Palazzo Zarone. In via Montagna c'è un palazzo signorile
provvisto di cappella, appartenuto ai Galdieri.In località Falchi, nei
pressi del lavatoio c'è il palazzo Di Petrillo , con doppia loggia al
piano nobile e a quello superiore ; gli archi del primo piano sono lobati.La
Parrocchiale è intitolata a Santa Maria del Trionfo.Racchiusa da una piazzetta
dominata da un Tiglio centenario, la chiesa presenta una semplice facciata
a capanna con portale trilitico rifatta nel 1675 anno del Giubileo su
cui bi è una cornice sopra la quale un finestrone.Il campanile si articola
si quattro ordini che inquadrono aperture ad arco fondo.L'interno presenta
nel presbiterio un polittico del 1600.Di qualche pregio le statue di S.
Bartolomeo e in marmo di S. Sano.Al centro del soffitto una tela che raffigura
il trionfo della vergine. Il 26 luglio si festeggia la festa patronale
in onore di S. Anna.La zona è ricca di prodotti genuini come le ciliegie
, le castagne.
Castagno
Nome comune di una serie di alberi caducifogli, appartenenti alla famiglia
delle fagacee e conosciuti per i loro deliziosi frutti commestibili. Il
castagno comune, di origine euroasiatica e nordafricana, è molto diffuso
in Italia, dove forma castagneti secolari. Raggiunge i 30 m d'altezza
e il tronco può misurare fino a 2 m di diametro. Oltre che per i frutti,
esso viene anche coltivato per il suo legno resistente e leggero. Gli
alberi di castagno sono sensibili all'attacco da parte di funghi patogeni,
responsabili di due gravi malattie: il cancro corticale del castagno e
il mal dell'inchiostro (vedi Malattie delle piante). In particolare, il
cancro corticale è causato dal fungo Endothia parasitica e si manifesta
con gravi depressioni di colore rossastro della corteccia. determina gravi
depressioni. Questa malattia ha sterminato quasi tutti gli alberi di castagno
degli Stati Uniti, che erano il segno distintivo del paesaggio delle foreste
nord e centro-orientali. In Europa e in particolar modo nel bacino del
Mediterraneo i castagni sono da sempre utilizzati come un'importante fonte
di cibo e di legname. Le foglie sono grandi e a margine dentato, mentre
i fiori sono raccolti in infiorescenze ad amento. I frutti sono avvolti
a maturità da un involucro spinoso, detto riccio, all'interno del quale
si sviluppano da uno a tre acheni commestibili, rivestiti da una buccia
marrone. Classificazione scientifica: I castagni appartengono alla famiglia
delle fagacee. Il nome scientifico della varietà europea più diffusa è
Castanea sativa, mentre quello della varietà americana quasi estinta è
Castanea dentata. I castagni cinese e giapponese sono classificati rispettivamente
come Castanea mollissima e Castanea crenata. Vedi anche Ippocastano. l'uva,
nocciole,mele annurche, fragole e funghi(prataioli, ovuli, porcini e chiodini)
(notizie su Sipicciano tratte da Campania Felix autore A.M. Villucci)
Descrizione dell'itinerario Attraversato il paesino percorrendo
una delle sue viuzze (1)si raggiunge una strada asfaltata (3) utilizzata
come circunvalazione al paese (mt. 520) , arteria di collegamento alla
strada Galluccio Roccamonfina (2) .La si percorre verso Sx e dopo poco
si arriva nei pressi di un incrocio: (4) Orto della Regina mt. 540 tabella
strada asfaltata (3) Mt. 520 centro storico Sipicciano /fig. 1 (2) (1)
Dove troviamo una tabella (4) posta dalla comunità montana che indica
l'inizio del sentiero. Il sentiero a tratti in pietra, e costeggiato da
muretti in pietra con folta vegetazione di castagni, querce, e macchia
mediterranea. In alcuni punti il sentiero è franato soprattutto a quota
mt. 585 . Si consiglia di salire brevemente sopra il muretto e camminare
per un breve tratto nel castagneto in salita a Sx. Dopo pochi metri il
sentiero ritorna ad essere riconoscibile. A quota 630mt dopo circa 25
minuti dal punto (4) della Fig. 1 ci troviamo in presenza di un incrocio
(5) Sipicciano presenza di un colle Mt. 630 (5) ORTO Continuando a salire
ci troviamo in presenza di un altro incrocio a quota 655 mt. Dove notiamo
sulla dx salendo un sentiero con una sbarra, questo porta al bosco di
vallemarina. casetta Sipicciano Bosco di Vallemarina Sbarra Mt. 645 Dopo
poco tempo ci troviamo nei pressi di un nuovo incrocio Sentiero chiuso
Sipicciano Orto della Regina Vallescura Tabella comunità montana Mt. 655
Strada Provinciale Roccamonfina Galluccio tabella mt. 635 a 1,5 Km da
Ristorante il Castagneto Strada provinciale Si Imbocca, per Vallescura
dove si prende la sterrata che sale verso sinistra. Si sale fino a raggiungere
il crinale del recinto calderico del vulcano di Roccamonfina (750 m.)
dove si volta a destra inoltrandosi nel bosco di castagni Dopo un breve
tratto in cui il sentiero esce allo scoperto si giunge nella Selva Pantanella,
che in particolare in autunno offre, alla vista degli escursionisti, un
gioco di colori molto affascinante. Dopo circa 20 minuti, giunti alla
quota di 805 m., si volta a destra ad un bivio e dopo altri 30 minuti
ci si immette sulla strada asfaltata che porta ai ripetitori. La strada
asfaltata si percorre, scendendo verso destra, fino ad un piazzale da
cui comincia il sentiero, da poco messo in sicurezza con opere di ingegneria
naturalistica dalla Comunità Montana, che in 30 minuti porta l'escursionista
fino alle mura megalitiche. Orto della regina - mura megalitiche Il recinto
megalitico di monte Frascara denominato in età medioevale Orto della Regina,
e quello di monte S. Croce, detto anche monte Fino o Fina dal nome di
una leggendaria fanciulla, figlia di Teles, fratello dell'Imperatore Filippo
l'Arabo che vi avrebbe dimorato, sono immersi in una folta vegetazione,
costituita da castagneto a bosco ceduo. La cinta dell'Orto della Regina,
posta a quota 928 sul livello del mare, non è molto estesa; l'andamento
del recinto, assume all'incirca la forma di un poligono irregolare dai
lati molto disuguali che delimitano talora angoli ottusi, talora angoli
retti. La lunghezza massima interna è di m.71, mentre la larghezza è di
m.35. Il recinto di 180 metri circa di perimetro racchiude un'area di
poco inferiore ai 2500 mq. Costruita in modo da recingere la sommità della
vetta, anche se non la più alta del monte Frascara, la cinta è adattata
alla conformazione orografica della stessa, includendo nel tracciato in
più tratti e soprattutto lungo il lato orientale, grosse sporgenze di
roccia che raggiungono anche l'altezza di più di tre metri. Il recinto
si presenta abbastanza ben conservato, anche se, in alcuni punti del tracciato,
si sono verificati crolli e aperti varchi per l'usura del tempo e soprattutto
per la spinta delle radici degli alberi di castagno che, numerosi, occupano
la superficie interna ed esterna alle mura. La struttura muraria è in
tecnica poligonale di grossi blocchi di trachite), dalle dimensioni le
più varie (m 0,53x0,90; 0,99x1,65; 1,60x2,10). Nei tratti meglio conservati,
presenta lo spessore di circa 2 metri. Il perimetro esterno è costituito
con blocchi a faccia abbastanza levigata, dai contorni irregolari, sovrapposti
senza malta, tenuti insieme dal loro stesso peso, con gli interstizi riempiti
da pietre più piccole per lo più scaglie dei blocchi cavati e lavorati
sul posto, spianando la sommità della vetta, come attestato dal saggio
di scavo effettuato sul terrapieno, in modo da lavorare con più facilità
ed ottenere nel contempo un livellamento della superficie interna. La
cortina è rincalzata al suo interno da filari di blocchi, grossolanamente
sbozzati, di dimensioni varie ma molto più piccole delle dimensioni dei
blocchi esterni.
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